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Davide Leggio

IBRIDI

Inaugurazione Venerdì 11 Maggio

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Ovunque, sulla faccia della terra, i migliori sono nemici della democrazia.

Davide vive l'avventura di uno sguardo nomade che non si stanca mai di vedere ma che anzi arriva al punto di cacciare ogni parola che non sia quella silenziosa e lampante dell'immagine. Il termine "ibrido" si avvicina moltissimo alla descrizione del suo lavoro, frutto di innesti di grammatiche visuali diverse: linguaggi discordanti, che si armonizzano e creano qualcosa d'altro.

E' un miscuglio di dialetti, quasi un gergo che trae ispirazione dalla critica dell'esistente, inteso come sistema di potere costituito, omologante e generatore di esponenziali errori (orrori), miseria e genocidi. Una critica feroce e brutale, aspirante sovversiva, espressa con una pittura materica e introspettiva,a colpi di estraniamento e dissacrante sguardo, attento ai problemi di peso,forma e spazio. Per giungere a tale fastidiosa ed acida orchestra Davide utilizza vari strumenti, quali la Pittura, Fotografia, Grafica, Installazioni e Performances senza una gerarchia, poichè ogni lavoro è legato agli altri in modo invisibile e vi sono molteplici e sempre mutevoli possibilità per esprimere concetti. Ibridi, dunque, figli dell'amore per ogni cultura(alterità) visiva e non solo, del mondo, che parlano tutte le lingue e nessuna, in una continua ricerca d'identità e di ragion d'essere.

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Ibrido: si dice di animale o vegetale generato o prodotto dall'accoppiamento di due razze o specie diverse; eterogeneo, discordante; ambiguo; mescolanza, incrocio; parola composta da elementi di diverse lingue.

Il termine ibrido si avvicina moltissimo alla descrizione del mio lavoro, frutto di innesti di grammatiche visuali diverse: linguaggi discordanti, che si armonizzano e creano qualcosa d'altro.

É un miscuglio di dialetti, è un gergo che trae ispirazione dalla pittura di Velazquez, Goya, Zurbaràn, El Greco, dai graffiti di Basquiat, dall'espressionismo nordico, dalla Pop Art, dalla Transavanguardia, dai collages di Heartfield o di Josep Renau, dalla verità dei corpi di Bacon o della Dumas o di Freud, dalla apparente sregolatezza di Kitaj e di Kippenberger, dallo spessore di Polke o di Schifano, ma anche dalle stampe giapponesi, dall'arte islamica, dal fumetto, dalla grafica delle avanguardie storiche e dall'arte di strada.

Quando dipingo indago su certe strutture, su certi problemi della rappresentazione che mi appaiono come pentagrammi su cui porre note stonate e rumori ambigui che diventano melodia visiva.

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Da piccolo disegnavo dinosauri, li "conoscevo" e li immaginavo veramente tutti, poi è stata la volta delle balene e dei fondali oceanici, in seguito vennero le caricature, dei compagnetti di scuola o della famiglia, poi è stata la volta di mostri, personaggi quasi umani, esseri antropomorfizzati su cui costruivo storie infinite fatte di lotte selvagge e guerre sanguinose, con tanto di genealogie ed eventi storici delle diverse fazioni. Mia madre, santa donna, ci dava a noi cinque fratelli, per tenerci buoni, pennelli e colori...e da lì, suppongo, sia nato tutto.

All'inizio dell'avventura accademica bolognese dipingevo su tavole di legno trovate per strada, sportelli di mobili o mensole diventate ormai spazzatura, scarti: mi deliziava non poco pensare che oggetti che le persone gettavano potessero essere riutilizzati in tal senso. Erano opere soprattutto a sfondo politico-sociale, nelle quali il pensiero che mi spingeva era il rifiuto del potere costituito in tutte le sue forme, della povertà che esso genera, delle disuguaglianze evidenti nella società umana. È una pittura brutale e piena di rabbia che si interroga sulle contraddizioni della nostra civiltà occidentale. Col tempo è diventata più riflessiva e introspettiva dove il soggetto-cane (solitudine e malinconia?) mi permetteva una sintetizzazione del mio segno in forme-silhouette che si muovono, come fantasmi, in paesaggi impossibili, con campiture di colore che descrivono lo spazio. Erano lavori molto sentiti e molto amati, ma intrisi di nostalgia e mancanza di qualcosa o qualcuno.

In seguito ho cercato di far confluire queste esperienze in una pittura più materica, con quadri di notevoli dimensioni dove adopero varie tecniche come l'acrilico, la tempera, i pastelli ad olio, matite e gessetti colorati che mi permettono di indagare ogni centimetro quadrato della superficie con molta attenzione ai problemi di peso, forma e spazio. A volte sono quadri-icone dove immortalo un gesto o un'espressione del viso di un soggetto, in questo caso uso molto delle fotografie, personali e non, che fissano quell'attimo per sempre e mi permettono di individuare il soggetto e i suoi gesti che poi analizzerò e sintetizzerò con la pittura. Altre volte sono scene di strada, animate da presenze e da maschere che recitano la loro presenza/esistenza, che teatralizzano la loro vita con sguardi o gesti ammiccanti, o nascondendosi a noi. Rappresentazioni di vita quotidiana con scarti prospettici e punto di vista dall'alto, che quindi incombe, che grava sulle piccole ed inutili esistenze, come nel cinema degli anni venti o trenta, con una particolare attenzione alla lezione di artisti come Kirchner, Ensor, Grosz, Ben Shanh e Hopper.

Ibridi insomma, figli del mio amore per ogni cultura, visiva e non solo, del mondo, che parlano tutte le lingue e nessuna, in una continua ricerca d'identità e di ragion d'essere.

Per informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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